Caporetto by Alessandro Barbero

Caporetto by Alessandro Barbero

autore:Alessandro Barbero
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Cultura storica
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2017-01-22T16:00:00+00:00


VII

L’artiglieria: l’attacco

1. Il ruolo dell’artiglieria nell’attacco

Nel successo dell’attacco contro le posizioni italiane il 24 ottobre l’artiglieria giocò un ruolo decisivo, da un duplice punto di vista: da parte austro-tedesca, il bombardamento fu una componente importante, accuratamente studiata e preparata, del piano d’attacco; da parte italiana, invece, quello che le truppe in trincea percepirono largamente come il silenzio della nostra pur potentissima artiglieria, poi catturata in massa già il primo giorno per l’inattesa penetrazione nemica, scatenò polemiche non ancora sopite, contribuendo a gettare un’ombra duratura su un personaggio cruciale della nostra storia, come Pietro Badoglio.

Cominciamo a vedere la cosa dal punto di vista tedesco e austriaco. Chi attaccava, nella Prima Guerra Mondiale, doveva necessariamente farlo dopo aver bombardato le trincee e le retrovie nemiche: altrimenti qualsiasi attacco si sarebbe infranto contro posizioni preparate e difensori in piena efficienza. Il consumo di proiettili d’artiglieria era uno degli incubi logistici di tutti i paesi in guerra: riuscire a produrre e trasportare al fronte una quantità sufficiente di munizioni poteva fare la differenza tra il successo e la sconfitta. Siccome, nonostante bombardamenti sempre più massicci, le offensive continuavano in genere a fallire, nei primi anni di guerra si credette che la soluzione consistesse nel prolungare sempre più la preparazione di artiglieria, prima di far scattare la fanteria all’attacco: l’offensiva inglese sulla Somme, il 1° luglio 1916, fu preceduta da sei giorni di bombardamento, durante i quali vennero sparati un milione e mezzo di colpi1.

Eppure l’immensa quantità di esplosivo scaraventata sulle linee nemiche continuava a rivelarsi insufficiente per indebolire seriamente i difensori. Il costo economico era pazzesco rispetto ai risultati, computati brutalmente in soldati nemici uccisi o feriti: un aiutante del re Vittorio, il conte Azzoni Avogadro, calcolò che in occasione di un bombardamento austriaco coi poderosi mortai da 305 “furono spese non meno di 100.000 lire per ferire leggermente un soldato”, e un ufficiale della brigata Caltanissetta racconta questa conversazione fra i colleghi rintanati nei rifugi durante un bombardamento:

a un certo punto il dottore osserva che ogni colpo costa tre o quattro mila lire, mentre il valore anatomico dell’uomo è, tutto sommato, di una quindicina di lire. Gli austriaci, in questo momento, stanno spendendo un patrimonio per fregare, sì e no, una dozzina di soldati. Un centinaio di lire2.

Il fatto è che di pari passo con l’intensificarsi della preparazione anche le tecniche difensive si erano evolute. Le posizioni erano ora composte da diverse linee, scaglionate in profondità per parecchi chilometri, così che diventava impossibile saturare di bombe l’intera zona; bunker di cemento armato – i Blockhaus dei tedeschi, che l’esercito italiano ribattezzò prontamente “fifhaus” quando servivano a proteggere i comandi nelle retrovie –, rifugi sotterranei, e soprattutto, su un fronte montagnoso come quello dell’Isonzo, caverne e gallerie scavate nella roccia permettevano di tenere relativamente al sicuro le truppe, pronte ad affluire in trincea nell’istante in cui cessava il bombardamento.

A questo punto gli esperti tedeschi di artiglieria, come il famoso colonnello Bruchmüller (soprannominato, inevitabilmente, Durchbruchmüller, Müller-sfondamento), cominciarono a chiedersi se il sistema non era intrinsecamente sbagliato e se non conveniva abbandonarlo.



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